HANNO UCCISO IL DECRETO ANTI CRISI? CHI SIA STATO NON SI SA…. O FORSE SI

Sto rilevando vari indizi che mi portano a pensare che il decreto anti crisi sia sempre di più in pericolo.

Prima di ricercare i colpevoli vorrei fare qualche considerazione sul provvedimento.

A mio parere, in estrema sintesi, gli aspetti più importanti della Gestione della crisi si riassumono in due fasi:

A)     IL SISTEMA DI ALLERTA

B)     LA GESTIONE DELL’ALLERTA

IL SISTEMA DI ALLERTA

Per sistema di allerta si intendono le attività e gli strumenti che l’azienda utilizza per avere un dispositivo tale da “avvertire” in caso di pericolo di crisi. In particolare parliamo di 3 sottofasi:

1.       Formazione ed organizzazione

2.       Disegno, elaborazione ed interpretazione dei dati

3.       Tracciamento e certificazione

Credo che siamo tutti d’accordo che il sistema di allerta sia non solo un bene per l’impresa, anzi sia necessario (ho comunque visto l’altro giorno su il più autorevole quotidiano economico un articolo che sviluppava una tesi contraria): va ricordato comunque che il provvedimento è legge operante dal marzo 2019.

GESTIONE DELL’ALLERTA

Qui siamo più in alto mare poiché stanno emergendo oggettivi problemi sulle attività e responsabilità dei nuovi attori (revisore, OCRI). Abbiamo già avuto due rinvii in merito.

La risposta logica dovrebbe essere: sviluppiamo la parte A nelle imprese in attesa che la parte B venga perfezionata anche a livello legislativo: consideriamo anche che la fase A è indipendente dalla fase B, o meglio può essere realizzata senza attendere il perfezionamento legislativo della fase B.

Invece quello che si sta notando è un tentativo da parte di molti attori di buttare tutto in caciara mettendo insieme fase A e fase B facendo di tutta l’erba un fascio per mandare a monte tutto l’impianto.

La riprova di questo è, secondo me, osservare il comportamento dei players in gioco:

I GIORNALI ECONOMICI

Dovrebbero essere i principali apostoli della cultura di impresa: ebbene negli ultimi giorni è un fiorire di articoli dove si danno segnali negativi sui vari aspetti del decreto, specie quelli che riguardano la fase B. Non si perde occasione per evidenziare i costi dell’adeguamento (che invece sono molto limitati). Siamo arrivati anche a mettere in discussione la misurazione ed il controllo: ho letto addirittura un articolo dove la tesi era che adottare sistemi di controllo frena le imprese.

CONFINDUSTRIA

A Confindustria le battaglie sulle cose pratiche/operative interessano poco: in queste vicende c’è poca politica e soprattutto poco potere. Un’idea poteva essere la proposta ad esempio di uno sgravio fiscale per i costi per la realizzazione del sistema di allerta (parliamo di investimenti di non grande rilevanza), ma nella realtà si sono avute solo richieste di rinvio. Della serie: ci interessa poco la questione.

GOVERNO

Questo governo mi sembra che tratti la questione come un fastidio necessario ereditato e quindi si comporta dando un colpo al cerchio ed alla botte senza avere una strategia. Poteva essere lo stesso governo, se ci avesse creduto, a promuovere gli sgravi fiscali per la realizzazione dei sistemi di allerta.

CORONAVIRUS

Ora si è messo in mezzo questa imprevedibile novità: non vorremo mica spendere soldi i per sistemi di allerta ora che COVID-19 ci ridimensiona i fatturati? Sommessamente osservo che invece è proprio adesso che occorrerebbe fare emergency plan, ipotizzare scenari futuri per decidere cosa fare e se non c’è un sistema di controllo attivo ciò è piuttosto arduo.

COMMERCIALISTI

All’inizio sembravano entusiasti perché vedevano un’opportunità di evoluzione professionale secondo due direzioni: il progettista del sistema di allerta e il revisore. Poi nella realtà si sono resi conto che per il primo ruolo occorre assumere competenze ed esperienze in finanza e controllo e ciò comporta tempi e costi; per il revisore il ruolo richiede l’assunzione di una serie di responsabilità che rendono pericolosa la cosa. Quindi l’entusiasmo si è trasformato in delusione ed apatia, nel senso che così non informano le aziende su quello che dovrebbero fare.

AVVOCATI

A loro interessa poco la parte A, dove hanno scarse competenze ed occasioni di operare. Di conseguenza sono protagonisti dei convegni che illustrano la parte B, che poi sono la maggioranza, dove non manca un dibattito interessante sulle procedure e responsabilità, che però inevitabilmente veicola il messaggio di problemi sul decreto in toto coinvolgendo di fatto anche la fase A.

CONSULENTI

Si tratta di professionisti che non sono né commercialisti, né avvocati e che arrivano da diverse esperienze, soprattutto aziendali o bancarie. Di sicuro la loro sfera di interesse è la parte A, ove però, come ho spiegato in un articolo precedente e riporto nel mio sito dedicato (http://www.ccdag-consulting.com), occorrono un set di skills piuttosto variegate difficili da riscontrare simultaneamente in una sola persona. Comunque in tutti i casi essendo una categoria di “cani (a volte di razza) sciolti” hanno ben poca voce in capitolo, non avendo organismi di rappresentanza di spessore.

BANCHE

E’ un player molto importante che, in questo momento, ha assunto una posizione attendista. A mio giudizio tale posizione non potrà durare molto, perché la presenza dell’”adeguata organizzazione”, per quanto già da valutare fin dai tempi di uscita di Basilea2, acquista ora un’importanza maggiore, derivando direttamente da quanto prescritto in una legge dello stato andata in vigore.

AZIENDE/IMPRENDITORI

Tutte le statistiche pubblicate indicano una scarsa adesione delle aziende al provvedimento, ed una scarsa volontà di aderire nel prossimo futuro. Del resto sono ben pochi tra gli imprenditori quelli che, nella media italiana, capiscono bene di cosa si tratta perché, altrimenti, avrebbero già implementato un controllo economico finanziario in azienda: se poi attendono una spinta dall’informazione esterna, con la gran parte degli attori che fanno il possibile per buttare fumo o addirittura fango, stanno freschi! Il risultato è che l’imprenditore italiano medio vede quanto prescritto dal decreto anticrisi semplicemente come un mero adempimento burocratico (questo è il risultato della comunicazione fatta dai players).

AZIENDE PRODUTTRICI DI SOFTWARE

Qui la tendenza è al “prendi soldi e scappa”: ti do un valido software autoreferenziale che ti produce un reporting, meglio se bello ponderoso (un venditore di questi prodotti mostra l’esempio tipo di report: 88 pagine!), magari costruito per un’azienda che ha poco da spartire con la tua, però costa poco, ti fornisce dei numeri e tu con quei numeri puoi crearti la consapevolezza. I numeri invece dovrebbero essere il punto di partenza della valutazione non il punto di arrivo: vabbè, non si può avere tutto dalla vita.

SOCIETA’ DI CERTIFICAZIONE

La certificazione del sistema di allerta diventerà prima o poi la principale garanzia per le imprese per avere un paracadute in caso di crisi e sue conseguenze. C’è molta attenzione da parte delle società di crtificazione: è stato proposto ad Accredia, e da questo , il modello di certificazione dei sistemi di allerta e tra poco (COVID-19 permettendo) avremo i primi manager ed ispettori specializzati.

GIUSTIZIA

Anche qui la spinta potrebbe essere forte se i giudici cominceranno (e qualche avvisaglia c’è) a valutare l’operato dell’imprenditore prendendo in considerazione l’esistenza o meno del famoso “adeguato assetto organizzativo”.

SCENARIO

Secondo me tra sei mesi (ci si è messo di mezzo anche COVID-19) saremo ancora qui con una situazione pressochè stabile: giungo a questa conclusione perché dall’analisi fatta si vede che la gran parte degli attori in gioco sono scarsamente interessati se non ostili.

Eppure proprio adesso ci sarebbe da mettersi al lavoro perché per considerare a regime un sistema di allerta non occorrono tanti soldi ma un po’ di tempo (circa 6 mesi) perché, contrariamente a quello che pensa qualcuno, non basta mettere dei numeri in una magic box e poi se questa dice rosso è crisi e se dice verde è tutto bene; no, i segnali di crisi, specie all’inizio, vanno valutati con molta frequenza (il DSCR va ricalcolato ogni mese), perché il sistema va prima ritenuto affidabile (fase di “tuning”)ed i segnali di crisi vanno confermati nel tempo prima di intervenire: se per tre mesi ho la conferma di un dato è una cosa, se ho un solo dato trimestrale è un altro.

C’è anche chi osserva che questi argomenti sono poco rilevanti. Essi ribattono che in fin dei conti ci stiamo interessando di numeri di scarsa importanza: infatti se rapportiamo il numero dei fallimenti alle aziende attive siamo a numeri dell’ordine dell’ 1% all’anno; io dico che se consideriamo ad esempio le aziende con almeno 3 dipendenti i numeri cominciano già a cambiare soprattutto se passiamo a medie pesate sui fatturati o numero di addetti. Poi ci sono le liquidazioni volontarie, le cessazioni etc. etc.

Comunque se non bastano la presenza di circa 300 miliardi di NPL nei riguardi del sistema bancario, di 160 miliardi di debiti delle aziende in stato di insolvenza nei confronti dello stato, oltre al grande numero di NPF (not performing firms): aziende che sopravvivono pagando in ritardo fornitori, dipendenti, rateizzando o non pagando le tasse. E poi c’è la diminuzione in dieci anni del credito bancario di 250 milioni, i ritardi di pagamento delle imprese tra loro che ammontano a circa 100 miliardi in aggiunta ai 50 miliardi ci debito non pagato della P.A., possiamo dire che come diceva Trilussa “la situazione è disperata ma non seria!”, quindi andiamo avanti così che andiamo bene.

E questi dati sono preesistenti al decreto anticrisi ed ora c’è anche COVID-19: quindi se è il decreto anti crisi è visto come un problema possiamo cancellarlo subito come suggerisce Italia Oggi. Farà la fine dell’Uomo Ragno!